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11 commenti:
Ancora una volta. Non so che fine abbia fatto il mio intervento delle 08.30, ma tant’è, lo rifaccio.
Caro Elia, hai posto un problema che secondo il mio parere, all’interno di una dialettica squisitamente politica, o x meglio dire partitica, fa una fine ingloriosa, come peraltro la fanno, ahimè, tutti gli argomento proposti da questo squallido quadro politico italiano.
Le coscienze individuali, invece, poste di fronte all’eutanasia, agiscono in maniera alquanto trasversale di fronte ai confini???(ormai + che sfumati ed offuscati) delle ideologie nate con i partiti tradizionali.
Metti a tavola me, cattolico professante, democristiano pre e post tangentopoli, “The million dollar baby” di Clint Eastwood, il sermone di Padre Massimiliano di domenica 11 novembre u.s. sul significato della Croce e sulla “necessità” del dolore.
Salvo, fornisci tu il capo del filo da cui dipanare questa terribile matassa.
CHIARIMENTI: Il suo commento delle 8:30 è stato postato sull'articolo riguardante U TRIUNFU. Sbagliare capita a tutti.
Può comunque benisssimo fare il copia e incolla.
Come ben vede ancora una volta... la piazza è democratica e trasparente.
Sono a sua disposizione per qualsiasi chiarimento.
Saluti
Francesco Tusa
grazie, forse ho pure sbagliato io
L'Italia condanna la pena di morte, ma fa affari con stati in cui ancora, paurosamente, la si pratica... con il nostrano concorso "farmaceutico". Una nazione, un popolo, che adotta tale equivoco comportamento non ha il diritto di intromettersi nelle scelte individuali di chi, con estrema sofferenza e non per vigliaccheria, sceglie di finire i suoi giorni in un certo modo.
La Chiesa si oppone perchè sostiene che la vita è un dono di Dio e nessun essere umano può pertanto decidere della morte di qualcuno. Allo stesso modo la destra, che è conservatrice, si oppone a questa pratica... non tanto per motivi religiosi quanto piuttosto per il valore della vita in sè.
Bè in Italia i comportamenti equivoci non sono una novità. D’altro canto pensare contestualmente di obbligare (sacrosanto) gli automobilisti ad indossare la cintura di sicurezza (che pensiero gentile, affettuoso dello stato verso i cittadini) e di continuare a detenere il monopolio dei tabacchi (con politiche volte alla dissuasione che sono diventate francamente ridicole) è cosa italianissima
Eu-thanatos
Provò con prepotenza a spingere lo sguardo fuori della finestra.
Era mattina o sera?
Dal pulviscolo atmosferico che svolazzava nel fascio di luce proveniente da fuori intuì che doveva essere mattina.
Un’altra alba era trascorsa.
Un’altra notte, un altro giorno aveva fatto il suo corso.
Altre ore si erano sommate alle precedenti, erano passate addosso alla sua immobilità fisica, lo avevano lambito piano, quasi con dolcezza. Una dolcezza così dolce e mielata di silenzio che quasi lo faceva vomitare.
La monotonia dei giorni sempre uguale a se stessa, attimo dopo attimo, istante dopo istante, nessuno l’aveva sperimentata quanto lui.
Si sta tanto a parlare in giro della noia di vivere, dell’inutilità dell’esistenza, dell’angoscia di non conoscere l’origine e il fine del nostro respirare; chi più di lui aveva potuto comprendere veramente a fondo la vanità e la stupidità del tutto?
Quanto più per lui non aveva senso il respirare, lui che per farlo era costretto a farsi pompare aria nei polmoni, attraverso uno squarcio nella trachea, da un respiratore automatico.
Quanto più non aveva gusto il vivere, lui che per nutrirsi aveva un foro praticato nella pancia per mezzo del quale venivano introdotti grassi e proteine.
DISTROFIA MUSCOLARE PROGRESSIVA.
Questa era la malattia che gli avevano diagnosticato quaranta anni prima, quando il letto lo usava ,com’è naturale, solo per dormire.
Era appassionato di caccia Gianluigi Rubi ed era solito, la domenica mattina, fare delle lunghe passeggiate insieme ai suoi cani da caccia per le campagne alla periferia di Roma.
L’aria pura del mattino, la brina, che sgocciolava placidamente dalle piante che sbadigliavano risvegliandosi, lo mettevano in sintonia con il creato e lo facevano sentire parte di un ordine prestabilito e partecipe di una natura che lo accoglieva dolcemente in grembo e lo rassicurava come una grande mamma.
La caccia era la sua più grande passione.
Poi erano cominciati i dolori alle gambe.
A vent’anni.
Inizialmente gli facevano male una volta tanto, poi i dolori si erano fatti più frequenti e tra esami di sangue e ricoveri in ospedale aveva appreso la triste verità: non si trattava di semplici dolori reumatici, come avevano cercato di rassicurarlo i suoi familiari, ma su di lui incombeva il principio di una malattia che i medici chiamavano distrofia muscolare.
Aveva compiuto un percorso di studi classici Rubi e quelle parolone dei medici non lo intimidivano.
Gli bastò qualche istante per risalire all’etimologia della parola distrofia: dis- era un prefisso che in greco significava “male”; -trofia derivava da qualche verbo - non ricordava di preciso quale - che aveva a che fare con la nutrizione… “mal-nutrizione” dei muscoli, si disse mentalmente.
Cosa poteva significare in parole povere? Gli avevano spiegato che si trattava di una malattia ai muscoli che avrebbe richiesto moltissime cure…
Arrivato a casa, aveva cercato tra i libri impolverati sugli scaffali e, in un manuale di medicina aveva indagato sulla parola “distrofia”.
...CONTINUA...
Distrofia muscolare.
Termine generico di un gruppo di patologie neuromuscolari che determinano una graduale atrofia della muscolatura in alcune parti corporee e una condizione generale di debolezza. Le diverse forme di distrofia sono in genere malattie genetiche, e si differenziano per età di insorgenza, gravità delle lesioni e rapidità della progressione. In tutti i casi, si rilevano anomalie microscopiche della muscolatura scheletrica.
Giorno per giorno, adesso, riviveva nella mente quelle parole.
Erano vere.
Erano la Verità, l’unica verità che gli fosse dato di apprendere ed esperire.
Erano trascorsi quarant’anni da quando era cominciato il suo calvario e negli ultimi dieci anni, (cioè nel periodo che i medici avevano definito “la fase terminale”), Rubi non si muoveva più.
Non gli era permesso nessun movimento, né di braccia né di gambe; poteva muovere solo le labbra e i bulbi oculari.
I suoi polmoni venivano continuamente gonfiati come i pneumatici di un’auto, non deglutiva, non mangiava, si limitava a seguire con lo sguardo le persone che entravano ed uscivano e che lo osservavano con un misto di pietà e di stupore, come uno scienziato davanti ad un suo esperimento o come un bambino di fronte ad una attrazione da circo.
Con una specie di matita tra le labbra, poi, “digitava” le sue parole in un’apposita tastiera, e questo era l’unico modo che aveva per esprimersi e per comunicare col mondo esterno che, con la sua frenesia, sembrava cozzare con l’immobilità di quel letto a cui Rubi era stato condannato, da quando aveva smesso di camminare.
Esausto a volte, dopo avere scritto qualche frase, si lasciava cadere l’asticina con cui scriveva sul petto, vicino al tubo infilato nella trachea e socchiudeva gli occhi.
Dio? non lo vedeva, lui, quel dio infinitamente buono di cui parlavano le religioni.
Allontanava quei pensieri blasfemi a stento e riapriva gli occhi.
Una volta, due volte, più volte gli capitò di osservare il volo a zig-zag di una mosca entrata dalla finestra.
Svolazzava da un punto ad un altro, libera, sul pavimento, sul comodino accanto a lui e poi, scavalcando il suo corpo inerte, giù dall’altra parte sulla macchina-respiratoria.
Una volta gli si posò sul naso e i suoi occhi fecero fatica a stringersi in mezzo e a continuare ad osservarla. La mosca tastò con le zampette anteriori il tessuto del naso morbido e poi le strofinò come chi, davanti al suo piatto preferito, con l’acquolina in bocca, batte le mani una volta e poi, per la contentezza, le strofina vittorioso e pregustando già il succulento piatto.
Il cervello automaticamente comandò ai muscoli del braccio e della mano destra di alzarsi e cacciare la mosca. La richiesta del cervello da automatica diventò cosciente, quando si rese conto che il braccio non obbediva. Si comandò di alzare quel maledetto braccio due volte, tre volte, dieci volte, ma ogni tentativo era più fallimentare dell’altro. Ci rinunciò e, sconfitto, rise di se amaramente: un corpo così grosso sottomesso da un esile corpicino di mosca quasi inesistente!
Poi d’un tratto decise.
O almeno la sua decisione da subìta e silenziosa divenne attiva e urlante.
...CONTINUA...
Scrisse un appello al presidente della repubblica, in cui chiedeva che gli venisse “staccata la spina” e attraverso il quale rispondeva alle possibili obiezioni etiche e religiose che la chiesa avrebbe opposto ai suoi propositi: <>.
Ne era nato un grande putiferio, un oceano di opinioni, dibattiti, articoli di giornali, interviste, servizi dei telegiornali a puntate che raccontavano la storia a episodi e ogni giorno, davanti al tuo piatto di pasta, portavano con disinvoltura il dolore di quell’uomo agonizzante.
Poi la disperazione aveva preso il sopravvento su tutte le altre sensazioni, ed era stato allora che con tutte le sue forze aveva tentato il gesto estremo. Con un fulmineo strattone violento era riuscito a staccarsi il tubo che gli penetrava nella trachea.
Fortunatamente o sfortunatamente,(meglio dire per caso: la vox media “fortuna” del latino sfortunatamente-ah ah- non ha traduzione in italiano), i medici erano arrivati in tempo e gli erano serviti quaranta giorni di cure e medicine per ritornare a stare “bene”.
L’ironia per lui era diventata una perenne auto-ironia: non era nemmeno capace di mettere fine alla sua debole e quasi inconsistente esistenza! Doveva ridere o piangere?
Non importava, perché tanto la sua espressione facciale si contristava e schiudeva sorrisi involontariamente.
La sua richiesta, nonostante avesse fatto sentire tutti in diritto di dire se era giusta o no la sua morte volontaria, tuttavia non aveva trovato alcuna risposta normativa e inutili erano stati gli scioperi della fame dei Radicali e a niente erano servite le veglie- quelle notti insonni di coscienze sensibili- costellate da striscioni di calcistica memoria :<>.
L’unica soluzione era quella che i giornali chiamavano “disobbedienza civile”; il comportamento da adottare era quello dei bambini che sanno che è sbagliato rubare le caramelle, ma queste sono così buone che non si può resistere…
E fu proprio questa la soluzione che l’anestesista Marco Rizzo prese quel mercoledì notte alle dodici meno venti, quando, mostrando disinvoltura prima di tutto a se stesso, staccò il respiratore automatico a Gianluigi Rubi. Dopo averlo sedato per via endovenosa con farmaci-era un’anestesista lui e ci avrebbe giurato sull’effetto di quei farmaci, e poi aveva speso tutta una vita a studiarne la composizione- che, ne era proprio sicuro, si davvero, non gli avrebbero fatto sentire la morte che arrivava.
Marco Rizzo, si era fatto portavoce di una coscienza comune, si era trasformato in un’Antigone vivente ai giorni nostri, aveva risollevato il contrasto insanabile e mai risolto tra legge positiva e legge naturale, tra individuo-famiglia e stato-società in un mondo dove però non è più chiaro il confine tra legge divino-naturale e legge giuridico-positiva, un mondo dove libertà individuale e norme etiche cozzano duramente tra di loro, come in una ancestrale battaglia che, tuttavia, grazie ad un relativismo esagerato e stupido che troppo spesso fa da baluardo ad un’ignoranza madornale, verte a favore di un’individualità che sconfina in un egoismo animalesco.
secondo me se una persona si vuole ..... quando a una malattia terminale chi puo dire che la persona sta commettendo un errore?
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