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mercoledì 23 maggio 2012

Il rumore delle bombe

di Archimede Tusa

Ogni giorno di ogni anno è caratterizzato da ricorrenze, anniversari, feste. Alcune importanti e di risonanza internazionale, altri invece poco conosciuti ma non per questo meno importanti per le persone che li ricordano. Poi ci sono date che invece rimangono impresse nella memoria per il rumore dell’accaduto. Si. Rumore. Questo anniversario è caratterizzato dal rumore. E come questo anche quello che lo seguirà tra 57 giorni.
Parlo degli attentati subiti dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la moglie di Falcone Francesca Morvillo, e le rispettive scorte: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Rumore perché due boati così grossi non si erano sentiti mai in Sicilia, nemmeno durante i bombardamenti della grande guerra.
Rumore perché i 500 kg di tritolo del primo e i 200 kg del secondo oltre a devastare l’autostrada Palermo-Capaci e via D’Amelio, hanno prodotto un boato che si è sentito in tutta la Sicilia, in tutta l’Italia… Hanno prodotto una frattura nella mente di ogni siciliano, di ogni italiano, che crede nello Stato, nelle istituzioni e nella giustizia!
Sono ormai passati vent’anni da quel terribile 23 maggio 1992. E adesso sentiamo rumori di trattative tra lo stato e la mafia. Trattative tra lo stato, che dovrebbe assicurarci il diritto di vivere in maniera libera e in totale legalità nel nostro Paese, e la mafia, organizzazione criminale che mira proprio a toglierci questo diritto, facendoci piegare ad essa.
Basta pensare al solo fatto che il viaggio di Falcone a Palermo era top secret. Invece l’attentato dimostra bene come la mafia fosse informata dettagliatamente su ogni singolo passo che faceva il magistrato durante la sua vita.
Basta pensare a quanti politici, magistrati e giornalisti lo attaccavano pesantemente mentre era in vita e lottava con ogni sua forza contro la mafia e contro il sistema che essa aveva creato nella nostra nazione.
Basta pensare al conto che gli hanno presentato al temine del “soggiorno forzato” all’asinara per istruire il maxi-processo insieme a Borsellino.
Basta pensare al fatto che gli fu preferito un altro come capo dell’ufficio istruzione a Palermo al termine del maxi-processo.
Basta pensare allo sciopero nazionale dei magistrati contro l’istituzione della Procura Nazionale Antimafia che di sicuro avrebbe poi guidato.
Basta pensare ai “centri occulti di potere” che lo volevano uccidere già nell’attentato dell’Addaura (Nino Agostino e Emanuele Piazza agenti morti ammazzati per aver fatto fallire lo stesso attentato).
E l’elenco potrebbe ancora continuare…
Era questo lo scenario in cui Falcone lavorava.
E’ stato questo lo scenario a fare da cornice  al lavoro immenso svolto da questo umile servo dello Stato e delle istituzioni.


Il testamento di Giovanni Falcone è davanti ai nostri occhi da innumerevoli anni:
•    la scientificità del metodo di indagini: egli non si limitava agli strumenti tradizionali (intercettazioni telefoniche, ambientali, confessioni), ma inseguiva ogni volta riscontri documentali, introducendo per la prima volta la ricostruzione dei movimenti bancari per produrre la prova di un delitto o di un reato (vedi ad esempio la risoluzione di Pizza Connection);
•    utilizzo del 416 bis (associazione di stampo mafioso), contestando il reato associativo a tutti gli appartenenti, oltre a contestargli specifici delitti o reati ad ognuno di essi. Una cosa che, da parte di Democristiani e Socialisti e borghesia benpensante, gli fece guadagnare il titolo di “giustizialista”. E ottenne anche che venisse istituito “il concorso esterno in associazione mafiosa“: perché i professionisti che lavoravano per Cosa Nostra, pur non facendone parte perché nemmeno gli uomini d’onore si fidavano, vanno messi in galera come i mafiosi;
•    la nascita della Procura Nazionale Antimafia, tanto avversata dai suoi colleghi, ma per lui fondamentale per ricollegare tutti i fili della trama mafiosa;
•    la scoperta che esiste Cosa Nostra con i suoi riti e le sue gerarchie: se non fosse stato l’uomo che era, Buscetta non avrebbe mai rivelato come funzionava e mai si sarebbe potuto portare a termine il maxi-processo (conclusosi senza assoluzioni perché, dopo essere stato umiliato e aver accettato di lavorare al Ministero della Giustizia, propose che le sentenze della Cassazione fossero discusse dalle sezioni riunite e non dalla prima sezione, presieduta da quel Corrado Carnevale amico dei mafiosi che distruggeva ogni sentenza).


E anche in questo l’elenco potrebbe continuare.
Per finire con quello che lascia alle menti di ciascuno di noi. Alla voglia di giustizia e di riscatto di ogni singolo cittadino italiano, stanco della mafia e di tutte le persone con essa colluse.
Alla voglia di debellare questa organizzazione mafiosa senza rimanere nell’omertà e nella paura.
“L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza”.


Giovanni Falcone è stato ucciso perché era diventato un personaggio scomodo, che sapeva troppo e che ormai aveva capito i meccanismi su cui la mafia e la politica basavano la loro amicizia e il loro modo di collaborare.
“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la Mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”
Giovanni Falcone è morto perché lo Stato non lo ha voluto proteggere.


Grazie per tutto quello che hai fatto e continui a fare per noi Giovanni!
LE TUE IDEE CONTINUANO A CAMMINARE SULLE NOSTRE GAMBE!

1 commento:

Anonimo ha detto...

è un rumore che deve darci la forza di lottare contro ogni tipo di male.